Cambiare è facile (ma comincia tu!)

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Cambiare è facile, quando pensiamo ai cambiamenti nelle vite degli altri. Più difficile invece, apportare sostanziali cambiamenti alle nostre vite, con problemi che sentiamo come irrisolvibili.

 

Ti dici spesso che devi assolutamente cambiare un certo atteggiamento con tuo figlio?

Sei fortemente motivato a intervenire su un comportamento di tuo figlio che non condividi?

Continui, comunque, imperterrito, a trovarti sveglio di notte a chiederti com’è che nonostante tutta la buona volontà, i punti caldi siano sempre gli stessi?

 

Se hai risposto sì a queste domande, questo è l’articolo che fa per te! Continua a leggere e troverai le tue risposte a queste domande. Eccoci con un altro appuntamento per coltivare una famiglia armoniosa, in cui tu possa sbocciare tanto quanto i tuoi bambini.

 

La scorsa settimana ti ho parlato del perché non ottieni i risultati che vorresti nonostante tutti gli sforzi che fai con i tuoi figli, con un riferimento al contesto sociale in cui viviamo, se ti sei perso l’articolo lo puoi recuperare cliccando il link in questo paragrafo.

 

Oggi voglio prendere in considerazione un altro aspetto, più legato a noi come individui.

 

Quando non vedi immediatamente i risultati che desideri con i tuoi bambini puoi trovarti a dare due risposte:

 

  1. Potresti dirti: io non funziono.

Immagine con robot, e scritta "Oh Oh! S'è rotto"

 

Questo messaggio puoi declinarlo in modi differenti:

 

quello che faccio non funziona mai,

ecco non vado bene,

ecco non so gestire questa situazione,

ecco non do le competenze giuste a mio figlio per…

 

      2. Oppure potresti dire: mio figlio non funziona.

 

Magari non ti dici esattamente queste parole. Potresti dire:

 

mio figlio è pigro,

è capriccioso,

è testardo,

vuole sempre averla vinta lui,

è un terremoto

 

Sia che tu utilizzi più spesso il messaggio verso di te o quello riferito a tuo figlio, si arriva ad comune risultato: il messaggio invalidante arriva ad entrambi, sia a te che a tuo figlio.

 

Se pensi che tuo figlio non funziona, stai in qualche modo sottendendo che come genitore potresti avere qualcosa che non va, e viceversa se dici a te stesso che non funzioni, intendi dire che tuo figlio non è come vorresti.

 

Insomma, entrambi venite invalidati da questo approccio.

Foto con mani di bimbo che reggono un foglio bianco con scritto "Oh no!"

 

Cosa accade, mentre continui a chiederti cosa sia meglio fare per cambiare? Ti ritrovi a cercare la strategia perfetta che spazzi via il problema che ti affligge, e se inizialmente sembra avere successo, poi torni punto e a capo a dirti: “io non funziono”, in qualsiasi accezione questa frase ti colpisca.

E puoi cadere nel tranello dei tranelli.

Questo:

Se io non funziono, è perché io sono fatto così e non ci posso fare niente.

 

Perché ti dici di non poterci fare niente?

Se un oggetto non funziona, poniamo che un orologio sia rotto, se non puoi porre rimedio tu stesso, puoi sempre portarlo ad un negozio specializzato che lo aggiusti.

 

Fantastico, problema risolto!

 

Dopo averlo depennato dalla tua lista di cose da fare, puoi chiudere il fascicolo nella tua mente.

 

Cosa accade se, invece di un orologio, si tratta di una persona con un problema che non si depenna mai dalla lista mentale di cose da aggiustare?

 

Siccome le persone non sono oggetti e, nelle relazioni così come nelle sofferenze, non hanno un tecnico che semplicemente sostituisce un pezzo e dà una aggiustatina dall’esterno, non è possibile adottare la stessa procedura per rispondere al messaggio che viene ripetuto come un mantra:

 

“Io non funziono. Sono fatto così, non ci posso fare niente”.

 

E qual è il vantaggio secondario di dirti che non ci puoi fare niente?

 

Vera, ma che stai dicendo? Vantaggio secondario? Ma quale vantaggio! Io non dormo di notte per problemi che mi fanno soffrire, mi dico che non funziono, e mi vuoi pure dire che ho dei vantaggi?

 

Cara mamma, caro papà, ti comprendo benissimo. Questa parte del cambiamento è tra le più ostiche da digerire. Ti chiedo di seguirmi ancora per qualche riga e tutto ti sarà più chiaro, andiamo per gradi.

 

Il corpo umano, incluso il suo cervello, è un’opera magnifica, progettata per sentire un disagio, o una sofferenza, a seconda dell’intensità, quando un bisogno non è soddisfatto. Lo scopo finale del tuo meraviglioso corpo è sempre trovare soddisfazione a quel bisogno.

 

  1. Il tuo corpo è disidratato
  2. Provi la sensazione di sete.
  3. Ti ingegni per trovare una soluzione per porre rimedio, valutando le possibilità del contesto e del momento
  4. Bevi
  5. Provi soddisfazione

 

Lo stesso processo avviene per altri bisogni, ad esempio come quello di connessione, o con il bisogno di autorealizzazione o ancora quello di provare accettazione di sé.

 

Perché, quindi, proprio il tuo corpo di essere umano, ed il tuo cervello, frutto di millenni di evoluzione della specie e senza la cui affascinante specializzazione in soddisfacimento dei propri bisogni con ogni probabilità sarebbe estinto, dovrebbe funzionare differentemente quando prova una sofferenza così ripetitiva nel tempo?

 

Perché il tuo cervello preferisce continuare a rimanere in uno stato di sofferenza, con un bisogno insoddisfatto, e dirsi che “è fatto così”?

Foto di bambino con i palmi delle mani verso l'alto e scritta "Perché?"

 

Perché il tuo cervello sa benissimo, che questa situazione di sofferenza, per quanto dolorosa sia, soddisfa uno (o più) altri bisogni.

 

Vediamo dunque quali sono i vantaggi secondari di raccontarti che “sei fatto così” e che “non ci puoi fare niente”:

 

Il primo vantaggio secondario è la comodità. Del resto, se tanto sei fatto così, è inutile che ti sforzi, perché sei fatto così e qualsiasi cosa faccia poi tanto tornerai a questo punto.

 

In fondo, lo diceva anche mio nonno, se uno nasce tondo non muore mica quadrato. Mmm…nonno mi sa che ti stai sbagliando…

 

Uscire dallo schema, dalla tua forma rotonda in cui immagini di essere nato, è una nuova azione, da apprendere.

 

Ogni nuova azione ti richiede più energia delle solite azioni che conosci: attivi un processo di tentativo-errore-tentativo-errore… questo nuovo processo ti porterà a doverti rialzare ogni volta che cadi in errore per poter ritentare di nuovo.

 

Che fatica!

 

Il cervello va al risparmio. Provare ora una sofferenza cui tutto sommato sei abituato, sembra una opzione migliore di utilizzare più energia.

 

L’altro vantaggio secondario nel dirti che tu non funzioni, e che quindi non ci puoi fare niente, è che deciderai di non modificare le tue relazioni.

 

Le tue relazioni, ora, hanno una loro struttura ed un loro equilibrio, anche se potresti trovarlo un equilibrio non del tutto soddisfacente.

 

Modificare questo equilibrio può portare scompiglio, critiche, e nella ricerca di un nuovo equilibrio, il rischio è di non sentire il riconoscimento da parte di chi ami – genitori, partner, amici, la società.

 

In altre parole:

 

Se tu modifichi quello che fai, mostrando ai tuoi cari altro di te rispetto al modo in cui sono più abituati a relazionarsi che ad altre, se tu cambi, queste persone che ti circondano dovranno necessariamente avere a che fare con altre parti di te, guardarti in altro modo e non sempre saranno volenterosi di farlo. E uscendo dallo schema  in cui queste persone sono abituate a infilarti, poi anche loro saranno scomode e disorientate nella nuova interazione che avrai con loro.

 

Questa mappa sconosciuta in cui loro si ritrovano, può portarli ad immaginare come sia possibile anche per loro uscire dal loro schema e non è affatto scontato che la loro emozione rispetto alla possibilità di imparare a navigare una nuova rotta risulti gradita ai loro occhi.

 

E dunque può scattare la critica: ti potrebbero rinfacciare di essere diverso, di essere cambiato.

E il riconoscimento, con l’appartenenza, è uno dei principali bisogni dell’essere umano.

Abbiamo tutti bisogno di appartenere ad un gruppo.

 

Ed è a questo bisogno che si rifà la resistenza al cambiamento, in questo caso.

 

Per questo ogni settimana scrivo questo blog, perché tu possa a piccoli passi apportare modifiche ai tuoi schemi, e se non sei ancora iscritto alla mailing list per ricevere ogni venerdì la rubrica di Genitori e Boccioli, rimedia subito cliccando qui, agendo da ORA, il tuo primo movimento in direzione contraria alla refrattarietà al cambiamento.

 

Se pensando a tutto quello che puoi fare per cominciare a coltivare una genitorialità serena ti senti smarrito, puoi scaricare gratuitamente il mio primo eBook “Come smettere di ripetere sempre gli stessi errori con i tuoi figli”. Si tratta di uno strumento già pronto per te: un distillato di ciò che ti serve per uscire dai soliti schemi che ti portano sofferenza nel relazionarti con i tuoi bambini.

 

A venerdì prossimo!

Vera

 

 

Bibliografia

GIUSTI, EDOARDO, Ritrovarsi prima di cercare l’altro, Edizioni Armando, Roma 2017

MUTHIG, MICHAELA, Il piccolo sabotatore dentro di noi. Come stanarlo e farselo amico, Edizioni Feltrinelli, Milano 2020

POLI, ENRICA FRANCESCA, Le emozioni che curano, Edizioni Mondadori, Milano 2019

ROSENBERG, MARSHALL B., Le parole sono finestre oppure muri, Edizioni Esserci, Reggio Emilia 2003

Vera Ghirardini

Ciao! Sono Vera Ghirardini, consulente genitoriale. Aiuto i genitori che si chiedono dove stanno sbagliando, a vivere con leggerezza e armonia, nel rispetto dei propri bisogni e di quelli dei propri figli
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